Calvino- “Lezione americane. Sei proposte per il prossimo millennio”


Lezioni americane” è un libro basato su una serie di lezioni che Calvino doveva tenere per l’Università americana di Harvard nel 1985. La morte prematura dello scrittore non rese possibile lo svolgimento del ciclo ma, raccolte in volume, forniscono preziose informazioni sull’idea che Calvino aveva della letteratura e sull’importanza che ancora le attribuiva alle soglie del nuovo millennio.

Le lezioni previste erano sei:

  1. Leggerezza
  2. Rapidità
  3. Esattezza
  4. Visibilità
  5. Molteplicità
  6. Coerenza (solo progettata)

 All’inizio della prima, la Leggerezza, lo scrittore cerca di dare una definizione al suo lavoro,proponendo la seguente: “la mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso; ho cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città; soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e del linguaggio”.

In questo modo mette subito in rilievo che considera la leggerezza un valore e non un difetto. Ripercorrendo la storia della letteratura, si può dire che due vocazioni opposte si contendono il campo attraverso i secoli: l’una tende a fare del linguaggio un elemento senza peso, che aleggia sulle cose come una nube; l’altra tende a comunicare al linguaggio il peso, la concretezza delle cose, delle sensazioni.

 Come esempio di leggerezza del linguaggio, tra gli altri cita Leopardi, il quale, a dispetto dell’insostenibile peso del vivere, dà alla felicità irraggiungibile immagini di leggerezza: gli uccelli, una voce femminile che canta alla finestra, la trasparenza dell’aria e soprattutto la luna.

 Appena si affaccia nei suoi versi, la luna ha sempre comunicato una sensazione di levità, di silenzioso e calmo incantesimo. E il miracolo di Leopardi, sottolinea Calvino, è stato quello di togliere al linguaggio ogni peso fino a farlo assomigliare alla luce lunare.

 La ricerca della leggerezza nel linguaggio, quindi, deve essere intesa come reazione al peso di vivere.

 Un altro valore a cui si rifà Calvino è quello della rapidità nella narrazione delle storie. A questo scopo fa riferimento alla tradizione popolare che risponde a criteri di funzionalità:“trascura i dettagli che non servono ma insiste sulle ripetizioni, per esempio quando una fiaba consiste in una serie di ostacoli da superare. Il piacere infantile d’ascoltare storie sta anche nell’attesa di ciò che si ripete: situazioni, frasi, formule.”

Anche nella prosa, come nelle canzoni e nella poesia, ci sono avvenimenti che rimano tra loro e danno vita al ritmo. Un buon ritmo tiene il lettore incollato alla pagina scritta.

Calvino racconta come fin dalla giovinezza abbia scelto come suo motto l’antica massima latina Festina lente, affrettati lentamente. Questa espressione condensa adeguatamente l’intensità e la costanza del lavoro intellettuale. Lo scrivere prosa, secondo Calvino, non dovrebbe essere diverso dallo scrivere poesia: “in entrambi i casi è ricerca di un’espressione necessaria, unica, densa, concisa, memorabile”

Nella terza conferenza Calvino voleva occuparsi dell’esattezza. Questo bisogno deriva da una sua ipersensibilità verso il linguaggio che gli sembra venga sempre usato in modo approssimativo, casuale, sbadato. Ha l’impressione che un’epidemia pestilenziale abbia colpito l’uso della parola, che si manifesta come perdita di forza conoscitiva, come automatismo che tende a livellare l’espressione sulle formule più generiche eanonime.

Forse solo la letteratura può creare degli anticorpi che contrastino l’espandersi della peste del linguaggio.

All’inizio dello scritto in cui tratta della visibilità, c’è una citazione dal Purgatorio della Divina Commedia, dove Dante dice “Poi piovve dentro a l’alta fantasia”.

Ci troviamo nel girone degli iracondi e Dante sta contemplando delle immagini che si formano direttamente nella sua mente e che rappresentano esempi classici e biblici di ira punita. Dante capisce che queste immagini piovono dal cielo, cioè è dio che gliele manda.

L’alta fantasia, che rappresentala parte più elevata dell’immaginazione, crea visualizzazioni che rimangono scolpite nella memoria di chi legge.

 Calvino fa poi una considerazione sugli scrittori più vicini a noi i quali stabiliscono collegamenti con emittenti terrene, come l’inconscio individuale e collettivo, il tempo ritrovato delle sensazioni, le epifanie. Sono processi che,anche se non partono dal cielo, vanno oltre il nostro controllo, assumendo rispetto all’individuo una sorta di trascendenza.

 Calvino si sofferma su come nascono i suoi scritti: “nell’ideazione d’un racconto la prima cosa che mi viene in mente è un’immagine che per qualche ragione mi si presenta carica di significato (…).Appena l’immagine è diventata abbastanza netta nella mia mente, mi metto a sviluppare una storia, o meglio, sono le immagine stesse che sviluppano le loro potenzialità implicite, il racconto che esse portano dentro di sé.”

Ma nello stesso tempo, conclude, la scrittura assume sempre più importanza: dal momento in cui comincia a mettere nero su bianco, è la parola scritta che conta.

Alla fine Calvino si chiede quale possa essere il futuro dell’immaginazione individuale in quella che chiamiamo la “civiltà dell’immagine”, in un’epoca in cui siamo bombardati da una quantità di immagini tale che non siamo più ingrado di distinguere l’esperienza diretta da ciò che abbiamo visto alla televisione.

Pensa ad una possibile pedagogia dell’immaginazione che abitui a controllare la propria visione interiore, permettendo che le immagini si cristallizzino in una forma ben definita, autosufficiente, icastica. La letteratura dovrebbe rappresentare: “lo spettacolo variopinto del mondo in una superficie sempre uguale e sempre diversa, come le dune spinte dal vento del deserto”

 Nella quinta conferenza Calvinodoveva trattare della molteplicità, introducendo il tema del romanzo contemporaneo come enciclopedia, metodo di conoscenza e come rete di connessione tra i fatti, tra le persone, tra le cose del mondo.

 Lo scrittore che sceglie per esemplificare questo concetto è Carlo Emilio Gadda il quale, per tutta la vita cercò di rappresentare il mondo come un garbuglio, un groviglio, senza attenuarne affatto l’inestricabile complessità.

In ogni episodio dei romanzi di Gadda, ogni minimo oggetto è visto come il centro di una rete direlazioni che lo scrittore non sa trattenersi dal seguire, moltiplicando i dettagli all’infinito.

Anche Proust, come Musil e altri scrittori del Novecento, danno vita a romanzi smisurati a cui spesso non riescono a dare una conclusione. Ma, secondo Calvino, la letteratura vive solo se si pone degli obiettivi smisurati, anche oltre ogni possibilità di realizzazione. “Solo se poeti e scrittori si proporranno imprese che nessuno altro osa immaginare la letteratura continuerà a vivere”.

Questa citazione, come gli appunti delle lezioni contenute in questo libro, la possiamo considerare come un vero e proprio testamento letterario di Calvino, che morirà di lì a poco.

 Le Lezioni americane sono un testo piuttosto impegnativo: si tratta di vere e proprie lezioni di letteratura. Ma se si ha la pazienza di leggerle con attenzione e calma, se ne possono ricavare molti spunti e riflessioni, oltre al piacere che deriva dal seguire lo scrittore italiano in un vero e proprio excursus nella letteratura di tutti i tempi.