“Per
me si va ne la città dolente,
per me si va ne l’etterno
dolore,
per me si va tra la perduta gente.
Giustizia mosse il
mio alto fattore:
fecemi la divina podestate,
la somma sapienza
e ’l primo amore.
Dinanzi a me non fuor cose create
se non
etterne, e io etterno duro.
Lasciate ogne speranza, voi
ch’intrate”.
Queste parole di colore oscuro
vid’io
scritte al sommo d’una porta;
per ch’io: «Maestro, il senso
lor m’è duro».
Parafrasi
Attraverso
me si va nella città dolente (l’inferno)
attraverso
me si va nel dolore eterno
attraverso
me si va tra la gente dannata.
Il
mio alto fattore (Dio) fu mosso dalla giustizia:
mi
creò la potenza divina (il padre)
la
somma sapienza (il figlio) e il primo amore (lo spirito santo).
Prima
di me non furono cose create
se
non eterne ed io duro eternamente.
Lasciate
ogni speranza, voi che entrate.
Queste
parole minacciose
io
vidi scritte nella parte più alta di una porta;
per
cui io:”Maestro, il loro senso mi risulta terribile”
Piccolo commento
Dante e Virgilio arrivano
davanti alla porta dell’Inferno sulla sommità della quale sono
scritte parole terribili che ribadiscono il concetto di dannazione
eterna e cancellano ogni speranza. L’idea viene a Dante probabilmente
dalle epigrafi metriche poste sopra le porte delle città medievali.
I primi tre versi sono
caratterizzati dalla martellante anafora introdotta dalla locuzione
“Per me si va”.
Nella seconda terzina
sono presenti le perifrasi (giri di parole) che indicano la Trinità:
Padre, Figlio e Spirito Santo. Infatti l’Inferno non è solo frutto
della potenza di Dio ma anche della sua sapienza che regola l’armonia
dell’universo e del suo amore che esprime un’infallibile giustizia.
L’Inferno fu prodotto
dalla caduta di Lucifero sulla terra, pochi istanti dopo la creazione
degli angeli.
Tutte le cose create
prima dell’Inferno (come angeli e cieli) sono eterne e eterno è esso
stesso.