Dante Alighieri- Inferno- Canto VI- Cerbero, vv. 7-33

Io sono al terzo cerchio, de la piova
etterna, maladetta, fredda e greve;
regola e qualità mai non l’è nova. 9

Grandine grossa, acqua tinta e neve
per l’aere tenebroso si riversa;
pute la terra che questo riceve. 12

Cerbero, fiera crudele e diversa,
con tre gole caninamente latra
sovra la gente che quivi è sommersa. 15

Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra,
e ’l ventre largo, e unghiate le mani;
graffia li spirti ed iscoia ed isquatra. 18

Urlar li fa la pioggia come cani;
de l’un de’ lati fanno a l’altro schermo;
volgonsi spesso i miseri profani. 21

Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,
le bocche aperse e mostrocci le sanne;
non avea membro che tenesse fermo. 24

E ’l duca mio distese le sue spanne,
prese la terra, e con piene le pugna
la gittò dentro a le bramose canne. 27

Qual è quel cane ch’abbaiando agogna,
e si racqueta poi che ’l pasto morde,
ché solo a divorarlo intende e pugna, 30

cotai si fecer quelle facce lorde
de lo demonio Cerbero, che ’ntrona
l’anime sì, ch’esser vorrebber sorde.

Parafrasi

Io mi trovo nel terzo cerchio, della pioggia

eterna, maledetta (perché nuoce), fredda e pesante;

ritmo e natura non gli è mai nuova (cade sempre uguale a sé stessa).

Grandine grossa, acqua scura e neve

attraverso l’aria tenebrosa si riversa;

puzza la terra che questa mescolanza riceve.

Cerbero, bestia crudele e mostruosa,

con tre teste (gole) latra come fanno i cani

sopra la gente che qui è affogata (sommersa).

Gli occhi ha di color rosso vivo (vermigli), la barba unta e sudicia,

il ventre ampio, e le mani con artigli;

graffia gli spiriti, scuoia e squarta.

La pioggia li fa urlare come cani:

dell’un dei lati (del corpo) fanno a l’altro riparo;

si volgono spesso i miseri peccatori.

Quando ci scorse Cerbero, il grande verme,

le bocche aprì e ci mostrò le zanne;

non aveva membro che tenesse fermo.

E la mia guida (duca) distese le sue mani,

raccolse la terra, e con i pugni pieni,

la gettò dentro alle desiderose fauci (canne).

Come quel cane che abbaiando esprime la sua fame (agogna),

e si calma (racqueta) dopo aver addentato il pasto,

poiché solo a divorarlo è intento e si affatica (pugna),

allo stesso modo si acquietarono quei musi sporchi

del demonio Cerbero che assorda

le anime in modo tale che esse vorrebbero essere sorde.

Piccolo commento

Dante e Virgilio arrivano al terzo cerchio, dove sono puniti i golosi. Qui una pioggia nera, mista a grandine e neve, cade eternamente sui dannati prostrati nel fango. Questi sono squartati e scuoiati da Cerbero che li assordisce con il suo latrare incessante. Cerbero, il cane a tre teste, è un personaggio del mito e della poesia classica, ritratto con violenza realistica che imprime alla sua figura vitalità animalesca.

Dante ne fa un mostro misto di elementi umani e bestiali: ne sottolinea la voracità insaziabile, la crudeltà ferina, le note ripugnanti dell’aspetto (la barba unta e atra).

Il gesto di Virgilio che getta nelle fauci del mostro un pugno di terra riecheggia il gesto della Sibilla che nell’Eneide getta nelle gole di Cerbero una focaccia, mentre accompagna Enea negli Inferi.