“Il dottor Živago” di Boris Pasternak

Leggendo un saggio di Calvino sul Dottor Živago, mi sono tornate in mente le sensazioni di meraviglia che avevano accompagnato la mia lettura di questo grande romanzo.

Riporto una sintesi di tale articolo che fa comprendere l’importanza e la bellezza di questo capolavoro della letteratura mondiale.

La prima impressione che suscitò la lettura del Dottor Živago, uscito in Italia nel 1956, fu quello di trovarsi davanti al ritorno del grande romanzo russo dell’Ottocento. Ma questa sensazione non durerà a lungo.

L’assunto principale del pensiero di Pasternak è che la natura e la storia non appartengono a due ordini diversi ma formino un continuo in cui le esperienze umane sono immerse e dal quale sono determinate. Questo idea viene resa meglio attraverso la narrazione che mediante riflessioni teoriche, come avveniva spesso nei romanzi del secolo precedente.

Il significato del libro quindi è da ricercare non nella somma delle idee enunciate ma in quella delle immagini, delle sensazioni e dei silenzi.

Del resto non è nemmeno sensato collocare il Dottor Živago prima della dissoluzione novecentesca del romanzo.

Infatti le vie di tale dissoluzione sono presenti entrambe in questo romanzo. Da una parte il frantumarsi dell’oggettività realistica nell’immediatezza delle sensazioni. Dall’altra, l’oggettivarsi della tecnica dell’intreccio che viene considerato in sé, portando alla parodia e al gioco di un romanzo costruito “romanzescamente”.

Pastenak porta questo gioco alle estreme conseguenze, costruendo una trama di coincidenze continue, attraverso tutta la Russia, in cui una quindicina di personaggi non fanno altro che incontrarsi per combinazione, come se ci fossero solo loro.

Nel romanzo è di fondamentale importanza il ruolo della natura che non è più il romantico repertorio dei simboli del mondo interiore del poeta ma è qualcosa che è prima e dopo e dappertutto, che l’uomo non può modificare ma solo cercare di capire.

Il muoversi nella natura contiene e informa ogni altro avvenimento o sentimento umano: uno slancio epico nel descrivere lo scroscio degli acquazzoni e lo sciogliersi delle nevi.

Il poeta cerca di inglobare in un unico discorso natura e storia umana per una definizione totale della vita: il profumo dei tigli e il rumore della folla rivoluzionaria mentre Živago nel ’17 va verso Mosca.

Italo Calvino- “Perché leggere i classici”

Perché leggere i classici” è una raccolta di saggi su grandi autori del passato e del presente pubblicata postuma nel 1991.

Questo testo contiene 36 scritti, principalmente risalenti agli anni Settanta e Ottanta su vari autori, da Omero a Queneau, che sono stati importanti per Calvino.

Nel saggio che dà il nome alla raccolta l’autore prova a dare varie definizioni di che cosa sia un classico. Ne riporto alcune.

La prima è abbastanza ovvia ma fondamentale:

Si dicono classici quei libri che costituiscono una ricchezza per chi li ha letti e amati”

Calvino sostiene che le letture giovanili possono essere poco proficue per impazienza e inesperienza della vita. Ma allo stesso tempo, possono essere formative nel senso che danno forma ad un’esperienza futura, fornendo modelli, termini di paragone e scale di valore.

Rileggendo il libro in età matura, può accadere di ritrovare queste costanti che ormai fanno parte di meccanismi interiori consolidati.

Per questo motivo, afferma Calvino, ci dovrebbe essere un tempo nella vita dedicato a rivisitare le letture più importanti della gioventù. Se i libri sono rimasti gli stessi, noi siamo certamente cambiati, e l’incontro sarà un avvenimento completamente nuovo.

Quindi:

D’un classico ogni rilettura è una lettura di scoperta come la prima”

e, inoltre,

Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire”

Un classico porta dietro di sé anche le tracce che hanno lasciato nelle culture che hanno attraversato. Così, se leggo l’Odissea, non posso dimenticare tutto ciò che questo testo ha significato nel corso dei secoli e non posso non chiedermi se questi significati erano impliciti nel testo o se sono incrostazioni o deformazioni che si sono accumulate nel tempo.

Per questo motivo è fondamentale la lettura diretta dei testi originali, evitando critica, commenti e interpretazioni.

La scuola dovrebbe veicolare il messaggio che nessun libro che parla di un libro dice più del libro stesso. Invece fa di tutto per far credere il contrario.

Quindi:

Un classico è un’opera che provoca incessantemente un pulviscolo di discorsi critici su di sé, ma continuamente se li scrolla di dosso”

Non dobbiamo leggere un classico per dovere o per rispetto, ma solo per amore. Se la scintilla non scocca, non c’è niente da fare.

Tranne che a scuola. La scuola deve farti conoscere un certo numero di classici tra i quali ognuno potrà riconoscere i suoi classici. Deve darti degli strumenti per scegliere. Ma le scelte che contano davvero sono quelle che avvengono fuori dalla scuola.

Il tuo classico è quello che non può esserti indifferente e che ti serve per definire te stesso in rapporto e magari in contrasto con lui”

Importante è anche avere ben presente da dove stai leggendo un classico. L’attualità può essere banale e mortificante ma è un punto in cui situarci per guardare in avanti o indietro. Bisogna quindi alternare ai classici le letture d’attualità.

Da questo si deduce che:

E’ classico ciò che tende a relegare l’attualità al rango di rumore di fondo, ma nello stesso tempo di questo rumore di fondo non può fare a meno”

Calvino conclude il saggio affermando che ognuno dovrebbe inventarsi una biblioteca ideale dei propri classici: la metà dovrebbe comprendere libri che abbiamo letto e siano stati importanti per noi; l’altra metà da libri che ci proponiamo di leggere e pensiamo possano contare. Lasciando qualche posto vuoto per le scoperte occasionali e le sorprese.

Sono molti gli articoli e i saggi di notevole importanza contenuti in questa raccolta che consiglio a tutti di leggere. Calvino spazia da Ovidio a Gadda, da Senofonte a Borges, dall’Ariosto a Pasternak.

Per ragioni di spazio qui mi concentrerò sull’Odissea.

All’inizio del poema, la Telemachia è la ricerca d’un racconto che ancora non c’è. Ulisse non è ancora tornato e Telemaco parte alla ricerca di notizie del padre ( e del racconto) andando presso i veterani della guerra di Troia. Se troverà il racconto, Itaca uscirà dall’informe situazione senza tempo e senza legge in cui si trova da tanti anni.

Dopo aver ascoltato tante storie che non servono al suo scopo, Telemaco incontra Menelao che gli narra una fantastica avventura. Egli è riuscito a catturare il “vecchio del mare”, Proteo, e lo costringe a raccontargli il passato e il futuro.

Proteo conosceva sicuramente tutta l’Odissea; comincia a raccontare le vicende di Ulisse dallo stesso punto in cui attacca Omero, con l’eroe che si trova da Calipso.

Si interrompe e a questo punto Omero gli dà il cambio e seguita il racconto.

Quindi questo ritorno-racconto esiste prima di essere compiuto, preesiste alla propria attuazione. Ma il ritorno deve esser pensato e ricordato, altrimenti può essere smarrito prima che sia avvenuto.

Ulisse-Omero raccontava la stessa esperienza ora nel linguaggio del vissuto, ora nel linguaggio del mito, così come ancora per noi ogni nostro viaggio, piccolo e grande che sia, è sempre l’Odissea.

Calvino- “Lezione americane. Sei proposte per il prossimo millennio”


Lezioni americane” è un libro basato su una serie di lezioni che Calvino doveva tenere per l’Università americana di Harvard nel 1985. La morte prematura dello scrittore non rese possibile lo svolgimento del ciclo ma, raccolte in volume, forniscono preziose informazioni sull’idea che Calvino aveva della letteratura e sull’importanza che ancora le attribuiva alle soglie del nuovo millennio.

Le lezioni previste erano sei:

  1. Leggerezza
  2. Rapidità
  3. Esattezza
  4. Visibilità
  5. Molteplicità
  6. Coerenza (solo progettata)

 All’inizio della prima, la Leggerezza, lo scrittore cerca di dare una definizione al suo lavoro,proponendo la seguente: “la mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso; ho cercato di togliere peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città; soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e del linguaggio”.

In questo modo mette subito in rilievo che considera la leggerezza un valore e non un difetto. Ripercorrendo la storia della letteratura, si può dire che due vocazioni opposte si contendono il campo attraverso i secoli: l’una tende a fare del linguaggio un elemento senza peso, che aleggia sulle cose come una nube; l’altra tende a comunicare al linguaggio il peso, la concretezza delle cose, delle sensazioni.

 Come esempio di leggerezza del linguaggio, tra gli altri cita Leopardi, il quale, a dispetto dell’insostenibile peso del vivere, dà alla felicità irraggiungibile immagini di leggerezza: gli uccelli, una voce femminile che canta alla finestra, la trasparenza dell’aria e soprattutto la luna.

 Appena si affaccia nei suoi versi, la luna ha sempre comunicato una sensazione di levità, di silenzioso e calmo incantesimo. E il miracolo di Leopardi, sottolinea Calvino, è stato quello di togliere al linguaggio ogni peso fino a farlo assomigliare alla luce lunare.

 La ricerca della leggerezza nel linguaggio, quindi, deve essere intesa come reazione al peso di vivere.

 Un altro valore a cui si rifà Calvino è quello della rapidità nella narrazione delle storie. A questo scopo fa riferimento alla tradizione popolare che risponde a criteri di funzionalità:“trascura i dettagli che non servono ma insiste sulle ripetizioni, per esempio quando una fiaba consiste in una serie di ostacoli da superare. Il piacere infantile d’ascoltare storie sta anche nell’attesa di ciò che si ripete: situazioni, frasi, formule.”

Anche nella prosa, come nelle canzoni e nella poesia, ci sono avvenimenti che rimano tra loro e danno vita al ritmo. Un buon ritmo tiene il lettore incollato alla pagina scritta.

Calvino racconta come fin dalla giovinezza abbia scelto come suo motto l’antica massima latina Festina lente, affrettati lentamente. Questa espressione condensa adeguatamente l’intensità e la costanza del lavoro intellettuale. Lo scrivere prosa, secondo Calvino, non dovrebbe essere diverso dallo scrivere poesia: “in entrambi i casi è ricerca di un’espressione necessaria, unica, densa, concisa, memorabile”

Nella terza conferenza Calvino voleva occuparsi dell’esattezza. Questo bisogno deriva da una sua ipersensibilità verso il linguaggio che gli sembra venga sempre usato in modo approssimativo, casuale, sbadato. Ha l’impressione che un’epidemia pestilenziale abbia colpito l’uso della parola, che si manifesta come perdita di forza conoscitiva, come automatismo che tende a livellare l’espressione sulle formule più generiche eanonime.

Forse solo la letteratura può creare degli anticorpi che contrastino l’espandersi della peste del linguaggio.

All’inizio dello scritto in cui tratta della visibilità, c’è una citazione dal Purgatorio della Divina Commedia, dove Dante dice “Poi piovve dentro a l’alta fantasia”.

Ci troviamo nel girone degli iracondi e Dante sta contemplando delle immagini che si formano direttamente nella sua mente e che rappresentano esempi classici e biblici di ira punita. Dante capisce che queste immagini piovono dal cielo, cioè è dio che gliele manda.

L’alta fantasia, che rappresentala parte più elevata dell’immaginazione, crea visualizzazioni che rimangono scolpite nella memoria di chi legge.

 Calvino fa poi una considerazione sugli scrittori più vicini a noi i quali stabiliscono collegamenti con emittenti terrene, come l’inconscio individuale e collettivo, il tempo ritrovato delle sensazioni, le epifanie. Sono processi che,anche se non partono dal cielo, vanno oltre il nostro controllo, assumendo rispetto all’individuo una sorta di trascendenza.

 Calvino si sofferma su come nascono i suoi scritti: “nell’ideazione d’un racconto la prima cosa che mi viene in mente è un’immagine che per qualche ragione mi si presenta carica di significato (…).Appena l’immagine è diventata abbastanza netta nella mia mente, mi metto a sviluppare una storia, o meglio, sono le immagine stesse che sviluppano le loro potenzialità implicite, il racconto che esse portano dentro di sé.”

Ma nello stesso tempo, conclude, la scrittura assume sempre più importanza: dal momento in cui comincia a mettere nero su bianco, è la parola scritta che conta.

Alla fine Calvino si chiede quale possa essere il futuro dell’immaginazione individuale in quella che chiamiamo la “civiltà dell’immagine”, in un’epoca in cui siamo bombardati da una quantità di immagini tale che non siamo più ingrado di distinguere l’esperienza diretta da ciò che abbiamo visto alla televisione.

Pensa ad una possibile pedagogia dell’immaginazione che abitui a controllare la propria visione interiore, permettendo che le immagini si cristallizzino in una forma ben definita, autosufficiente, icastica. La letteratura dovrebbe rappresentare: “lo spettacolo variopinto del mondo in una superficie sempre uguale e sempre diversa, come le dune spinte dal vento del deserto”

 Nella quinta conferenza Calvinodoveva trattare della molteplicità, introducendo il tema del romanzo contemporaneo come enciclopedia, metodo di conoscenza e come rete di connessione tra i fatti, tra le persone, tra le cose del mondo.

 Lo scrittore che sceglie per esemplificare questo concetto è Carlo Emilio Gadda il quale, per tutta la vita cercò di rappresentare il mondo come un garbuglio, un groviglio, senza attenuarne affatto l’inestricabile complessità.

In ogni episodio dei romanzi di Gadda, ogni minimo oggetto è visto come il centro di una rete direlazioni che lo scrittore non sa trattenersi dal seguire, moltiplicando i dettagli all’infinito.

Anche Proust, come Musil e altri scrittori del Novecento, danno vita a romanzi smisurati a cui spesso non riescono a dare una conclusione. Ma, secondo Calvino, la letteratura vive solo se si pone degli obiettivi smisurati, anche oltre ogni possibilità di realizzazione. “Solo se poeti e scrittori si proporranno imprese che nessuno altro osa immaginare la letteratura continuerà a vivere”.

Questa citazione, come gli appunti delle lezioni contenute in questo libro, la possiamo considerare come un vero e proprio testamento letterario di Calvino, che morirà di lì a poco.

 Le Lezioni americane sono un testo piuttosto impegnativo: si tratta di vere e proprie lezioni di letteratura. Ma se si ha la pazienza di leggerle con attenzione e calma, se ne possono ricavare molti spunti e riflessioni, oltre al piacere che deriva dal seguire lo scrittore italiano in un vero e proprio excursus nella letteratura di tutti i tempi.