“Perché leggere i
classici” è una raccolta di saggi
su grandi autori del passato e del presente pubblicata postuma nel
1991.
Questo
testo contiene 36 scritti, principalmente risalenti agli anni
Settanta e Ottanta su vari autori, da Omero a Queneau, che sono stati
importanti per Calvino.
Nel
saggio che dà il nome alla raccolta l’autore prova a dare varie
definizioni di che cosa sia un classico. Ne riporto alcune.
La
prima è abbastanza ovvia ma fondamentale:
“Si
dicono classici quei libri che costituiscono una ricchezza per chi li
ha letti e amati”
Calvino sostiene che le letture giovanili possono essere poco
proficue per impazienza e inesperienza della vita. Ma allo stesso
tempo, possono essere formative nel senso che danno forma ad
un’esperienza futura, fornendo modelli, termini di paragone e scale
di valore.
Rileggendo il libro in età matura, può accadere di ritrovare queste
costanti che ormai fanno parte di meccanismi interiori consolidati.
Per
questo motivo, afferma Calvino, ci dovrebbe essere un tempo nella
vita dedicato a rivisitare le letture più importanti della gioventù.
Se i libri sono rimasti gli stessi, noi siamo certamente cambiati, e
l’incontro sarà un avvenimento completamente nuovo.
Quindi:
“D’un
classico ogni rilettura è una lettura di scoperta come la prima”
e, inoltre,
“Un
classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da
dire”
Un
classico porta dietro di sé anche le tracce che hanno lasciato nelle
culture che hanno attraversato.
Così, se leggo l’Odissea, non posso dimenticare tutto ciò che
questo testo ha significato nel corso dei secoli e non posso non
chiedermi se questi significati erano impliciti nel testo o se sono
incrostazioni o deformazioni che si sono accumulate nel tempo.
Per questo motivo è fondamentale la lettura diretta dei testi
originali, evitando critica, commenti e interpretazioni.
La scuola dovrebbe veicolare il messaggio che nessun libro che parla
di un libro dice più del libro stesso. Invece fa di tutto per far
credere il contrario.
Quindi:
“Un
classico è un’opera che provoca incessantemente un pulviscolo di
discorsi critici su di sé, ma continuamente se li scrolla di dosso”
Non dobbiamo leggere un classico per dovere o per rispetto, ma solo
per amore. Se la scintilla non scocca, non c’è niente da fare.
Tranne
che a scuola. La scuola deve farti conoscere un certo
numero di classici tra i quali ognuno potrà riconoscere i suoi
classici. Deve darti degli strumenti per scegliere.
Ma le scelte che contano davvero sono quelle che avvengono fuori
dalla scuola.
“Il
tuo classico è quello che non può esserti indifferente e che ti
serve per definire te stesso in rapporto e magari in contrasto con
lui”
Importante
è anche avere ben presente da dove stai leggendo un classico.
L’attualità può essere banale e mortificante ma è un punto in cui
situarci per guardare in avanti o indietro. Bisogna quindi alternare
ai classici le letture d’attualità.
Da questo si deduce che:
“E’ classico ciò
che tende a relegare l’attualità al rango di rumore di fondo, ma
nello stesso tempo di questo rumore di fondo non può fare a meno”
Calvino conclude il saggio affermando che ognuno dovrebbe inventarsi
una biblioteca ideale dei propri classici: la metà dovrebbe
comprendere libri che abbiamo letto e siano stati importanti per noi;
l’altra metà da libri che ci proponiamo di leggere e pensiamo
possano contare. Lasciando qualche posto vuoto per le scoperte
occasionali e le sorprese.
Sono molti gli articoli e i saggi di notevole importanza contenuti in
questa raccolta che consiglio a tutti di leggere. Calvino spazia da
Ovidio a Gadda, da Senofonte a Borges, dall’Ariosto a Pasternak.
Per ragioni di spazio qui mi concentrerò sull’Odissea.
All’inizio
del poema, la Telemachia è la ricerca d’un racconto che
ancora non c’è. Ulisse non è
ancora tornato e Telemaco parte alla ricerca di notizie del padre ( e
del racconto) andando presso i veterani della guerra di Troia. Se
troverà il racconto, Itaca uscirà dall’informe situazione senza
tempo e senza legge in cui si trova da tanti anni.
Dopo aver ascoltato tante storie che non servono al suo scopo,
Telemaco incontra Menelao che gli narra una fantastica avventura.
Egli è riuscito a catturare il “vecchio del mare”, Proteo, e lo
costringe a raccontargli il passato e il futuro.
Proteo conosceva sicuramente tutta l’Odissea; comincia a raccontare
le vicende di Ulisse dallo stesso punto in cui attacca Omero, con
l’eroe che si trova da Calipso.
Si interrompe e a questo punto Omero gli dà il cambio e seguita il
racconto.
Quindi
questo ritorno-racconto esiste prima di essere compiuto, preesiste
alla propria attuazione. Ma il ritorno deve esser pensato e
ricordato, altrimenti può essere smarrito prima che sia avvenuto.
Ulisse-Omero raccontava la stessa esperienza ora nel linguaggio del
vissuto, ora nel linguaggio del mito, così come ancora per noi ogni
nostro viaggio, piccolo e grande che sia, è sempre l’Odissea.