Candida
era una giovane maestra che, dopo aver concluso il suo percorso di
studi, aveva cominciato a fare le prime supplenze nella scuola
primaria.
Il suo sogno fin da bambina era sempre stato quello di insegnare e, mentre faceva l’università, il suo proponimento si era rafforzato sempre di più soprattutto perché aveva appreso teorie pedagogiche e didattiche che mettevano il bambino al centro dell’ apprendimento e avevano come scopo la sua crescita personale, cercando di fare emergere e valorizzare le sue potenzialità. Secondo queste idee illuministe, se il bambino fosse stato approcciato in modo positivo, rispettando il suo modo di essere e cercando di creare sempre un canale comunicativo, il lavoro dell’insegnante non poteva che avere un esito positivo. Sembrava che il modello dominante fosse quello ritratto dal filosofo Rousseau che dipingeva il fanciullo come “buono per natura”, che solo l’educazione poteva modellare in modo più o meno positivo.
Quando
fu chiamata a fare le prime supplenze, Candida si trovò però
davanti ad una realtà molto diversa da come l’aveva immaginata. Da
una parte i bambini sembravano più che buoni, anarchici per natura
e, quando entrò in classe per la prima volta, fece molta fatica per
riportare un livello appena accettabile di ordine e disciplina.
Confrontandosi
con le altre maestre, che avevano dietro di sé qualche anno in più
di esperienza, venne a sapere che l’unico modo per farsi rispettare
era quello di presentarsi in modo autorevole e distaccato, senza dare
alcuna confidenza agli agitati pargoletti.
Candida
non era convinta di queste conclusioni e fece presente alle colleghe
che le nuove teorie pedagogiche andavano in un’altra direzione, e che
ci si poteva porre in maniera diversa nei confronti della classe che
doveva essere intesa come un insieme di individui, ognuno con la sua
personalità e le sue esigenze.
Quando
sentirono queste considerazioni della giovane supplente, alcune
maestre risero di gusto, mentre altre, più diplomatiche, spiegarono
che era capitato anche a loro di sperimentare delle strategie di
insegnamento che dessero più spazio ai singoli bambini, come lavori
di gruppo, attività alternative ma alla fine erano tornati alla
didattica tradizionale perché la situazione era diventata in breve
tempo ingestibile. Secondo loro si potevano e si dovevano
sperimentare forme di democrazia all’interno della classe ma tutto
doveva rimanere sotto il fermo controllo dell’insegnante, altrimenti
si finiva con il degenerare in situazioni caotiche o di conflitto.
Ovviamente,
le situazioni difficili rimanevano anche utilizzando la didattica
tradizionale ma, secondo l’opinione delle veterane della scuola, con
forme più moderne di insegnamento la situazione peggiorava in modo
evidente.
Ma
la maestra Candida continuava ad essere perplessa: non poteva
accettare che tutto quello che aveva studiato nel suo corso di laurea
fosse da ricondurre al mondo delle idee di platonica memoria,
confinato oltre la volta celeste e irraggiungibile. In cuor suo era
convinta che un’applicazione pratica ci dovesse essere.
Le
supplenze si susseguivano, le scuole cambiavano ma la situazione, a
parte lievi cambiamenti, nella sostanza non mutava.
Un
pomeriggio Candida partecipò insieme ad altre colleghe ad un
incontro con volontari dell’Unicef, che ogni anno proponevano delle
attività da svolgere in collaborazione con le scuole, per
sensibilizzare i bambini sui problemi dei loro coetanei in
difficoltà.
Erano
presenti anche insegnanti di altre scuole e, ad un certo punto, fu
presentata un Istituto Comprensivo dove si adottava il progetto Senza
Soma, che aveva ricevuto l’attestazione di scuola “Amica dei
bambini” in quanto era stato creato un ambiente in cui tutti
collaborano e tutti si rispettano.
La
maestra Candida si riscosse dal torpore che la stava prendendo, come
spesso accade durante queste riunioni, e subito si appuntò il nome
di tale scuola, riproponendosi di cercare informazioni a riguardo.
Una
volta a casa, andò a cercare in sito della scuola Senza Soma e trovò
delle belle immagini di classi ampie e luminose, arredate in modo
piacevole alla vista e ricche di materiale didattico di tutti i tipi
come cartine, giochi, semplici strumenti musicali, angoli per
disegnare o rilassarsi, ecc.
Non
erano presenti dei banchi, ma dei grandi tavoli di legno di colore
chiaro intorno a cui erano disposte sedie che avevano in fondo alle
gambe delle palline da tennis bucate in modo tale che non facessero
rumore quando le spostavano.
In
mezzo ad ogni tavolo c’era del materiale come pennarelli, matite,
fogli, penne, forbici che erano in comune per tutti, mentre su una
parete erano inseriti degli spazi dove gli alunni mettevano la loro
cartella e potevano lasciare il loro materiale, senza doverlo portare
a casa tutti i giorni. Il nome Senza Soma veniva proprio da questo: i
bambini non dovevano sentire il peso della scuola che vivevano non
come oppressione ma come qualcosa di piacevole e questo si traduceva
anche nel portare a e da casa solo il materiale necessario. Il resto
rimaneva a scuola e veniva usato solo in classe.
Le
fondamenta su cui si reggeva questa idea di scuola erano
l’ospitalità, la responsabilità e la comunità che si traduceva
nell’idea di accoglienza e di rispetto nei confronti di tutti,
nell’essere protagonisti e quindi responsabili del proprio processo
di apprendimento e nell’ essere parte di una comunità più grande,
che comprende anche altre scuole con gli stessi valori, oltre ai
genitori e ad attività da svolgere all’ esterno.
Inutile
dire che Candida fu veramente affascinata da questa presentazione.
Finalmente sembrava aver trovato il modello di scuola a cui aspirava
e subito si mise a cercare se ci fosse qualche istituto nella sua
provincia che aderisse al modello Senza Soma.
Con
sua grande piacere e anche sorpresa, non solo trovò una scuola con
queste caratteristiche non lontana da casa sua, ma le giunse notizia
che c’erano anche posti disponibili per eventuali supplenze annuali.
Pensò che fosse strano che, una volta approdati ad un Istituto dalle
idee così innovative, un insegnante pensasse di andare da un’altra
parte l’anno successivo, ma sapeva che ogni scelta fosse personale e
non dipendeva solo dal trovarsi più o meno bene in una scuola.
A
settembre del nuovo anno scolastico, la maestra Candida approdò
dunque alla scuola Senza Soma e non vedeva l’ora di conoscere la
dirigenza, i nuovi colleghi e i fortunati alunni che potevano
beneficiare di questo metodo di insegnamento così attento alla loro
crescita personale e rispettoso dei loro bisogni.
Il
primo giorno si teneva l’incontro con la Dirigente del Comprensivo,
una signora energica e sorridente, che cominciò a spiegare ai nuovi
arrivati le linee guida della scuola che erano improntate prima di
tutto all’accoglienza dei nuovi insegnanti.
Il
nucleo della didattica del Senza Soma era costituito dalla divisione
della classe in gruppi di apprendimento di livello diverso, ognuno
del quale si sarebbe raccolto intorno ad un tavolo che veniva
chiamato isola.
L’insegnante
avrebbe preparato per ogni argomento quattro o cinque lezioni diverse
a seconda delle capacità di ogni gruppo, in modo tale che poi ognuno
di questi avrebbe potuto lavorare in modo autonomo. Una volta avviato
il lavoro, la docente poteva dedicarsi a quei bambini che trovavano
comunque difficoltà, sedendosi con loro nelle isole o facendo loro
svolgere attività alternative nei diversi angoli attrezzati della
classe, come un disegno o un gioco.
La
cattedra era stata abolita anche materialmente, visto che la maestra
non faceva calare dall’alto gli argomenti da imparare, ma
accompagnava l’apprendimento delle conoscenze che gli alunni
avrebbero appreso in maniera autonoma, al limite facendosi aiutare
dai compagni che sedevano accanto a lui.
Anche
per le uscite in bagno, i bambini dovevano imparare a gestirsi da
soli, senza bisogno di chiedere il permesso all’ insegnante. Infatti
accanto alla porta dell’ aula c’era una sorta di semaforo dove i
bambini dovevano inserire il colore rosso quando uscivano. Se
vedevano che il colore era verde, il fanciullo che aveva bisogno di
uscire, in maniera autonoma si alzava e andava in bagno senza
chiedere niente a nessuno.
La
maestra Candida fu veramente colpita da questa presentazione e fece
anche molte domande alla preside perché voleva avere ancora più
informazioni. La dirigente approvò questo entusiasmo e disse che lo
spirito era quello giusto. Poi se ne andò rassicurando i nuovi
arrivati: nei primi mesi di scuola ci sarebbe stato un corso di
formazione sul nuovo tipo di didattica a cui tutti i nuovi arrivati
avrebbero dovuto partecipare. Così avrebbero appreso meglio le
tecniche di questo tipo di lavoro.
Nei
giorni successivi, Candida conobbe le nuove colleghe che la accolsero
calorosamente sfoggiando per l’occasione i loro sorrisi migliori. Le
spiegarono che la preside era molto contenta, a parte qualche rara
eccezione, del lavoro che facevano alla primaria ma aveva frequenti
discussioni con i docenti della scuola media. Infatti questi,
nonostante gli indubbi vantaggi del metodo Senza Soma, si rifiutavano
di recepire tale modello di insegnamento nel loro ordine di scuola,
affermando tra l’altro, che i ragazzi non imparavano nulla.
Lo scorso anno, tra l’altro, la preside aveva fatto irruzione durante una riunione pomeridiana nel plesso di una scuola media e, visto che i vetusti professori si ostinavano a tenere la cattedra davanti alle file dei banchi, invece che spostarla da una parte e usarla solo come piano di appoggio, aveva chiamato gli operai del comune ordinandogli di far rimuovere tutte le cattedre dalla scuola. Il giorno dopo i reazionari docenti si trovarono davanti gli alunni a far lezione solo con una sedia, senza saper nemmeno dove mettere i libri e la borsa. Ben gli stava.
(Fine parte prima)