Ho cominciato a scrivere il mio libro a settembre dello scorso anno e, tra prima stesura, aggiustamenti e revisione finale, ho deciso di mettere la parola fine a giugno di quest’anno.
Ho scritto nei ritagli di tempo, quando ero libera dal lavoro e da altre incombenze della quotidianità, ma mi sono imposta di mettere insieme almeno 2-3 pagine alla settimana perché considero necessario mantenere un ritmo costante, anche se non sempre sostenuto, ad ogni attività che si vuole svolgere seriamente.
La lentezza con cui riempivo le pagine è stato anche molto utile alla vitalità e alla ricchezza dei contenuti, in quanto mi permetteva di riflettere su quello che avevo scritto, decantarlo come si fa con un vino invecchiato, e di apportare cambiamnenti che, almeno nelle intenzioni, dovevano essere migliorativi.
La dilatazione del tempo mi ha permesso anche di richiamare alla mente episodi accaduti ormai oltre dieci anni fa, alcuni dei quali pensavo fossero ormai sepolti nelle pieghe della memoria e che, soprendentemente, sono riemersi in modo anche vivido e ricchi di particolari.
Mentre scrivevo ho anche scelto alcune letture che mi sembravano potessero aiutarmi nella stesura del mio scritto.
A questo scopo, ho letto alcuni testi più tecnici su come pubblicare in self publishing, come il libro “Professione scrittore” di Giuseppe Amico da cui ho trattato utili suggerimenti; oppure il testo di Gianrico Carofiglio “Con parole precise” che rispondeva alla mia esigenza di avere uno stile di scrittura che fosse il più chiaro preciso.
Per quanto riguarda la ricerca sul linguaggio umoristico, che caraterizza almeno a tratti il mio scritto, ho preso come riferimento, tra gli altri, alcuni libri di Stefano Benni e soprattutto i romanzi di Jerome, di cui “Tre uomini in barca” è sicuramente quello più riuscito per la sua misurata comicità british e la ricchezza di spassosi aneddoti.